Medicina Tradizionale Cinese e filosofia orientale

È difficile comprendere le relazioni tra il corpo e la mente e, di conseguenza, il significato delle malattie del corpo in rapporto alle ferite dell’anima, se non ampliamo la nostra visione dell’uomo e della vita.  Come e perché quindi collegare le manifestazioni fisiche, i sintomi, le malattie o le crisi a ciò che avviene, a ciò che si produce dentro di noi? Ampliando la nostra prospettiva e osservando l’uomo nella sua globalità fisica e temporale, potremo mettere in collegamento le cose e gli eventi. È ciò che le filosofie orientali hanno sempre fatto, attribuendo all’essere umano la sua vera dimensione: mente ed emozioni come un’unica entità.

L’origine della vita secondo la filosofia orientale

Secondo la codificazione orientale, la vita deriva dal Caos. Magma informe, disordine apparente, il Caos viene poi organizzato sotto l’azione di una forza strutturante, il Tao. Quest’ultimo si è a sua volta strutturato manifestandosi attraverso lo Yin e lo Yang, di cui il Cielo (Yang) e la Terra (Yin) sono le rappresentazioni terrestri.

Collocato tra questi due poli, l’uomo è il luogo d’incontro di queste due espressioni energetiche del Tao. Discendendo dal caos informe, l’essere umano non è dunque che una vibrazione energetica priva di forma apparente, che i Taoisti chiamano lo Shen Prenatale, cui noi attribuiamo il significato di spirito o anima secondo le varie credenze. Per poter esistere, questo Shen sceglierà di appoggiarsi alle vibrazioni Yin di una donna (madre) e alle vibrazioni Yang di un uomo (padre). La sapiente mescolanza di queste 3 energie (Shen + energia della madre + energia del padre) gli consentirà di incarnarsi, ossia di esistere in un corpo fisico.
Questo processo d’incarnazione è assolutamente  molto più elaborato di quanto qui appaia, e fa riferimento alle nozioni di Cielo Anteriore e di Cielo Posteriore, seguendo una sorta di filo conduttore che è ciò che la Tradizione orientale definisce «il Cammino di Vita».


Il Cammino di Vita o la Leggenda Personale

Il Cammino di Vita è una sorta di filo conduttore che ciascun essere umano segue nel corso della sua esistenza. Potremmo paragonarlo allo scenario di un film o al «diario di bordo» dei viaggiatori. Avanziamo lungo questo percorso utilizzando un veicolo particolare che corpo fisico. Gli orientali ci propongono un’immagine molto interessante di questo veicolo e del relativo Cammino di Vita.

Quale può essere il gioco della vita?

Iniziamo un viaggio nella filosofia orientale, imparando a riconoscere due tipi di trasformazione: i mutamenti che si producono armoniosamente nel corso normale degli eventi e le rotture e le trasformazioni improvvise, caratteristiche di situazioni di estrema disarmonia.

Noi siamo, dicono, come un carretto, un Calesse che rappresenta il nostro corpo fisico e che circola su un sentiero che simboleggia la vita o piuttosto il Cammino di Vita.

Seguiamo questa immagine:

Il sentiero su cui avanza il Calesse è una strada sterrata. Come tutte le strade sterrate, presenta buche, gibbosità, sassi, solchi e fossi da ogni lato. Le buche, le gibbosità e i sassi sono le difficoltà, gli urti della vita. I solchi sono gli schemi già esistenti che prendiamo da altri e che riproduciamo. Le fosse più o meno profonde rappresentano le regole, i limiti da non superare se non si vuole incorrere in un incidente.

Questo cammino comporta talvolta delle curve che impediscono la visibilità oppure attraversa zone di foschia o di temporale. Sono tutte fasi della nostra vita in cui ci troviamo «nella nebbia», nelle quali abbiamo difficoltà a veder chiaro o a poter anticipare alcunché perché non possiamo «vedere davanti a noi». Questo Calesse è trainato da due cavalli, uno bianco (Yang) che si trova sulla sinistra e uno nero (Yin), a destra. Questi cavalli simboleggiano le emozioni, da cui si evince fino a qual punto siano esse a tirarci, ovvero a condurci nella vita.

Il Calesse è guidato da un Cocchiere che rappresenta la nostra mente, il nostro Conscio. Esso è dotato di quattro ruote, due anteriori (le braccia), che danno la direzione o piuttosto implicano la direzione data dal Cocchiere ai cavalli, e due posteriori (le gambe) che portano e trasportano il carico (del resto, sono sempre un po’ più grosse delle ruote anteriori). All’interno del Calesse c’è un passeggero che non si vede.
Si tratta del nostro Maestro o Guida Interiore, del nostro Non-Conscio, della nostra Coscienza Olografica.
I cristiani lo chiamano «Angelo Custode».

Il nostro Calesse personale avanza dunque sul cammino della vita, guidato in apparenza dal Cocchiere. In apparenza, perché se è vero che è lui a guidare, in realtà è il passeggero a precisare la destinazione.  Il Cocchiere, che è la nostra mente, conduce pertanto il Calesse. Dalla qualità della sua vigilanza e della sua condotta (ferma, ma dolce) dipenderà la qualità e la comodità del viaggio (esistenza). Se egli maltratta i cavalli (emozioni) e li sottopone ad angherie, questi ad un certo punto si innervosiranno o s’imbizzarriranno e rischieranno di provocare un incidente, proprio come le nostre emozioni talora ci conducono ad atti irragionevoli, se non addirittura pericolosi.
Se il conducente è troppo rilassato, se manca di vigilanza, il tiro passerà nei solchi (imitazione degli schemi parentali, per esempio) e noi seguiremo quindi le tracce di altri, correndo il rischio per esempio di andare a finire nel fossato come loro, se l’hanno fatto.
Allo stesso modo, se il Cocchiere non è vigile, non saprà nemmeno evitare le buche, le gibbosità (colpi, errori della vita) e il viaggio sarà molto disagevole per il Calesse, il Cocchiere stesso e il Maestro o Guida Interiore. Se il cocchiere si addormenta o non tiene le redini, saranno i cavalli (emozioni) a condurre il Calesse.

Se il cavallo nero è il più forte (perché l’abbiamo meglio nutrito), il Calesse tenderà a dirigersi verso la destra e ad essere guidato dalle immagini emotive materne. Se è il cavallo bianco quello di cui ci occupiamo maggiormente e che ci domina, il Calesse si dirigerà verso sinistra, verso le rappresentazioni emotive paterne. Quando il Cocchiere sprona i cavalli a correre velocemente, li forza proprio come facciamo noi in alcune circostanze; se i cavalli si imbizzarriscono, sarà il fossato ad arrestare più o meno violentemente tutto il tiro con più o meno danni (incidenti e traumi).

Talvolta una ruota o un pezzo del Calesse si allenta (malattia), sia perché era poco resistente, sia perché il Calesse è passato sopra troppe gibbosità e buche (accumulo di comportamenti, di atteggiamenti inadeguati). Pertanto, bisognerà correre ai ripari e, a seconda della gravità del danno, potremo farlo noi stessi (riposo, cicatrizzazione), dovremo ricorrere ad un meccanico (medicina dolce, naturale) o, se è più grave, a qualcuno che vi ponga rimedio (medicina moderna).
Tuttavia, sarà senza alcun dubbio importante per noi non accontentarci di sostituire il pezzo. Al contrario, sarà importante riflettere sulla condotta del Cocchiere e sul modo in cui potremo mutare i nostri comportamenti, i nostri atteggiamenti nella vita, se non vogliamo che «il guasto» si ripresenti.

Qualche volta il Calesse attraversa zone di scarsa visibilità, vale a dire che non vediamo veramente dove ci stiamo dirigendo. Può trattarsi di una semplice svolta. Possiamo vederla e prepararci al suo arrivo anticipandola. Dovremo allora rallentare, individuare in quale direzione svolta il sentiero e seguire la curva tenendo con forza le redini (dominare, per esempio, le nostre emozioni durante le fasi di cambiamento volute 0 subite). Quando vi è foschia o temporali, ci risulta più difficile guidare il nostro Calesse.

Dobbiamo «navigare a vista», rallentando il passo e basandoci sui bordi immediatamente visibili del sentiero, In questa fase dobbiamo avere una fiducia totale, per non dire «cieca» nel cammino di vita (leggi naturali, regole della Tradizione, Fede, eccetera) e nel Maestro o Guida Interiore (Non-Conscio) che ha scelto tale cammino.
Sono quelle fasi della vita nelle quali ci sentiamo persi, «nella nebbia più totale» e in cui non sappiamo più dove stiamo andando. In tali circostanze non possiamo far altro che lasciare che la vita stessa ci mostri la strada da seguire.

Talvolta, infine, giungiamo ad incroci, biforcazioni. Se il sentiero non è munito di segnali, non sappiamo quale direzione prendere. Il Cocchiere (la mente, l’intelletto) può prendere una direzione a caso. Il rischio di sbagliarsi, addirittura di perdersi, è grande. Quanto più il Cocchiere è sicuro di sé, persuaso di sapere e padroneggiare tutto, quanto più vuole e crede di sapere quale direzione scegliere, tanto più il rischio sarà grande. Qui siamo nel regno della «tecnocrazia razionalista», dove la ragione e l’intelletto credono di poter risolvere tutto. Se invece è umile e onesto con se stesso, egli chiederà consiglio al passeggero (Maestro o Guida Interiore). Quest’ultimo sa dove sta andando, conosce la destinazione finale. Potrà quindi indicarla al Cocchiere, che la imboccherà, se sarà stato capace di udire la risposta.
Infatti, qualche volta il Calesse fa molto rumore procedendo ed è necessario arrestarsi per poter dialogare con il Maestro o Guida Interiore. Sono le pause, le ritirate che talvolta facciamo per ritrovare noi stessi, poiché ci può capitare di perderci.

Si tratta di un’immagine metaforica, grazie alla quale ci sarà più facile, nei prossimi articoli, comprendere meglio il pensiero orientale e la simbologia della Medicina Tradizionale Cinese che scopriremo insieme.

Bibliografia
– Dimmi dove ti fa male e ti dirò perché: I richiami del corpo sono i messaggi dell’anima. Michel Odoul
– Elementi di Medicina Tradizionale Cinese. Claude Larre, Jean Schatz e Élisabeth Rochat de la Vallée

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